Tutela dei Crediti di Lavoro nella Procedura Fallimentare


Nel nostro ordinamento, la sentenza dichiarativa di fallimento produce la disgregazione del complesso aziendale, che legittima il prestatore di lavoro insoddisfatto a presentare la domanda di ammissione al passivo, nelle forme e nei termini previsti dall’art. 93 della legge fallimentare (R.D. 16 marzo 1942, n. 267, e successive modifiche ed integrazioni).

La ratio sottesa alla procedura in oggetto risiede nell’esigenza di dare attuazione alla regola del concorso dei creditori sul patrimonio del fallito (c.d. principio della parità di trattamento: art. 52, co. 1, L.F., garantito dal generale divieto di azioni esecutive e cautelari individuali, previsto dall’art. 51 della legge fallimentare.

L’accertamento del passivo costituisce la fase centrale e più delicata della procedura fallimentare, in quanto essa è diretta ad accertare quali creditori hanno diritto di partecipare alle ripartizioni dell’attivo, l’ammontare dei loro crediti e le eventuali cause di prelazione.
Con particolare riferimento ai crediti di lavoro spettanti ai lavoratori subordinati, il legislatore ha attuato una peculiare disciplina al fine di offrire ampia tutela a tale categoria di creditori attraverso il riconoscimento di specifiche cause di prelazione.
In particolare, si è previsto che i crediti relativi alle retribuzioni dovute, sotto qualsiasi forma, ai prestatori di lavoro subordinato sono assistiti da un privilegio generale sui beni mobili del datore di lavoro, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2751-bis, n. 1, cod.civ.

Tale privilegio riguarda non solo la retribuzione, ma anche tutte le indennità dovute per effetto della cessazione del rapporto di lavoro (ivi incluso il T.F.R., oltre che il credito del lavoratore per i danni conseguenti alla mancata corresponsione, da parte del datore di lavoro, dei contributi previdenziali ed assicurativi obbligatori, nonché il credito per il risarcimento del danno subito per effetto di un licenziamento nullo, annullabile o inefficace.

Il curatore fallimentare, tenuto ad accertare la sussistenza del privilegio, deve, in primo luogo, verificare l’effettività del rapporto di subordinazione, quale vincolo di dipendenza gerarchica e disciplinare del prestatore nei confronti del datore di lavoro: requisito che potrebbe difettare per alcuni soggetti, come, ad esempio, nel caso di soci o amministratori di società. E, successivamente, deve verificare la correttezza degli importi richiesti, sulla base di quanto documentato nelle buste paga, che il creditore avrà cura di produrre ed allegare al ricorso.
Il credito deve essere ammesso al lordo delle ritenute fiscali ed al netto di quelle previdenziali, spettando all’INPS la legittimazione a richiedere l’ammissione al passivo del credito previdenziale.
Il credito così determinato è soggetto a rivalutazione monetaria, da calcolare in base agli indici dei prezzi determinato dall’ISTAT e da conteggiare fino alla data in cui lo stato passivo diventa definitivamente esecutivo.

Per espressa previsione di legge (art. 54, co. 3, primo periodo, L.F.), il privilegio accordato ai crediti del prestatore di lavoro subordinato (art. 2751-bis, n. 1, cod.civ.) si estende anche agli interessi maturati nell’anno in corso alla data di dichiarazione del fallimento nonché nell’anno precedente (art. 2749 cod.civ.). Viceversa, gli interessi maturati successivamente alla dichiarazione del fallimento (c.d. interessi post fallimentari) sono collocati in privilegio nei limiti della misura legale “fino alla data del deposito del progetto di riparto nel quale il credito è soddisfatto, anche se parzialmente” (art. 54, co. 3, secondo periodo, L.F.).

Pertanto, la data finale di computo degli interessi è spostata “in avanti”, in considerazione del fatto che fra il realizzo del bene e la distribuzione del prezzo può intercorrere anche un notevole lasso temporale. In tal modo, gli interessi decorreranno fino alla data dell’effettivo pagamento.
Gli interessi e la rivalutazione monetaria che non vengano espressamente richiesti nella domanda di insinuazione al passivo non possono essere calcolati e pagati autonomamente dal fallimento in sede di riparto, né possono essere richiesti con domanda tardiva di insinuazione.
A seguito della proposizione della domanda di insinuazione del credito di lavoro, il curatore fallimentare può:

ammettere il credito nel passivo;
sollevare contestazioni in merito al credito;
proporre l’esclusione del credito.
In caso di contestazione, la controversia è decisa dal Giudice Fallimentare, organo competente a dirimere le questioni che sorgono in tale fase. Viceversa, nel caso di esclusione del credito, il lavoratore può proporre opposizione allo stato passivo da decidere nell’ambito di un giudizio a cognizione piena.
Anche i crediti da lavoro autonomo, maturati negli ultimi due anni di prestazione, godono di un privilegio generale di natura mobiliare (art. 2751-bis, n. 2, cod.civ.). Sono compresi in tale categoria i professionisti ed i prestatori d’opera, nonché tutte le attività riconducibili al tipo contrattuale delineato dall’art. 2222 cod.civ. Il curatore, appurato che il creditore rientri nella predetta categoria, è tenuto ad individuare ed applicare il limite temporale del privilegio che, per opinione pacifica, è invocabile per tutti i crediti inerenti all’ultimo biennio dell’attività professionale, ancorché anteriori al biennio precedente l’apertura della procedura concorsuale.
Una questione di notevole rilievo pratico attiene all’operatività del privilegio generale mobiliare previsto per i crediti di lavoro dall’art. 2751-bis cod.civ.
La norma di riferimento è l’art. 2777 cod.civ. che, in relazione all’ordine dei privilegi, colloca i crediti garantiti dal privilegio de quo subito dopo le “spese di giustizia” e i “crediti garantiti da pegno”. Inoltre, l’ultimo comma della citata disposizione richiama ulteriormente l’art. 2751-bis cod.civ., disponendo che i privilegi che altre leggi speciali collocano come preferiti ad ogni altro credito devono collocarsi sempre dopo le “spese di giustizia” e “i crediti di cui all’art.2751-bis cod.civ.”.
Ne consegue che il legislatore vuole garantire il diritto del prestatore alla retribuzione, laddove è in atto una procedura fallimentare, con un titolo di preferenza e prevalenza rispetto ai crediti degli altri soggetti ammessi al passivo (es. clienti e fornitori del datore di lavoro).
Ulteriore tutela per i crediti di lavoro è sancita dall’art. 2776 cod.civ., che prevede la c.d. collocazione sussidiaria sugli immobili, a norma del quale i crediti del prestatore di lavoro sono collocati sussidiariamente, in caso di infruttuosa esecuzione sui beni mobili del datore di lavoro, sul prezzo degli immobili, con preferenza rispetto ai creditori chirografari.
Con riferimento alla collocazione sussidiaria dei crediti di lavoro, va precisato che:
i crediti di lavoro vengono soddisfatti sempre dopo i creditori ipotecari e gli altri creditori titolari di privilegi immobiliari che hanno, dunque, un titolo di preferenza rispetto ai prestatori di lavoro;
nell’ordine dei privilegi, i crediti per il TFR e per l’indennità di mancato preavviso sono sempre soddisfatti con preferenza rispetto a tutti gli altri crediti di lavoro dipendente, nonché rispetto ai crediti spettanti agli Istituti previdenziali per il versamento dei contributi di previdenza e di assistenza.

Molto interessante.